Otto anni sono
passati dal G8 di Genova. Alcuni di noi erano lì, altri erano poco più
che bambini. Ma nessuno ha dimenticato quelle trecentomila persone venute
da tutto il mondo a manifestare per un altro mondo possibile, per la
libertà dalla schiavitù del profitto, per la giustizia e la pace.
Nessuno ha dimenticato l'assassinio di Carlo, il massacro di centinaia
di manifestanti, le torture a Bolzaneto, la macelleria della Diaz, né
il sadismo delle guardie, l'arbitrio di un potere che si assolve, i
compagni perseguitati e ingiustamente condannati...
Otto anni sono lunghi, e molte cose sono cambiate. L'agenda della politica mondiale, che avevamo quasi
strappato ai segretari del Capitale, ha ricominciato a segnare gli
stessi appuntamenti: guerra, sfruttamento, fame, distruzione del
pianeta, “lotta al terrorismo”. L'Afghanistan, l'Iraq, la Palestina, le
vene aperte dell'America Latina, dell'Asia, dell'Africa, delle banlieue
e delle nostre periferie, dei tanti Sud che ci assediano: il sangue di
miliardi di persone che stilla senza senso, giorno dopo giorno, per la
ricchezza di sempre più pochi, per l'ignoranza e l'indifferenza di
troppi.
Anche noi siamo cambiati. Un po' più
deboli, un po' più incerti. Un po' più impauriti, forse. Ma anche più
maturi, consapevoli che la nostra lotta ha tempi lunghi, sempre più
convinti che, se non è quest'altro mondo possibile - il socialismo -
sarà la barbarie. Ormai adulti, non rinneghiamo la nostra infanzia.
Guardiamo i volti dei nostri nemici e sappiamo che sono gli stessi di
Genova. Sappiamo anche che sono diventati più violenti, più aggressivi.
Che sono pericolosi, perché ora più che mai non sanno quel che fanno.
2009, il G8 torna in Italia. Torna in tempo di crisi, quando il PIL in
Occidente ha un vistoso segno meno, la disoccupazione è in aumento, e
non si vede nessuna via di uscita. Torna in un paese socialmente e
culturalmente devastato, con i salari più bassi d'Europa, un sistema
politico bloccato, l'informazione controllata; un paese incattivito da
una guerra che, scatenata dall'alto, è diventata guerra fra poveri,
razzismo, sessismo, omofobia, disprezzo per chi è diverso. Il G8 arriva
in Abruzzo, un territorio che ha pagato con il sangue proprio quelle
logiche di profitto, di speculazione, di corruzione che regolano il
capitalismo ovunque; un territorio che da quasi tre mesi sta
sperimentando inedite forme di controllo e di militarizzazione.
Pur di non farci essere il Governo le ha provate tutte. Ha suddiviso il
vertice, in tanti, troppi incontri. Difficili da seguire per chi deve
studiare, lavorare, badare alla sopravvivenza quotidiana. Impossibili
da contestare per chi deve già scendere in piazza per difendere il
proprio lavoro. Eppure il movimento in questi mesi c'è stato. A Roma,
contro lo smantellamento del Welfare; a Siracusa, contro la
devastazione ambientale; a Torino, per un'Università non asservita agli
interessi privati; ancora a Roma, contro una “sicurezza” che è
espulsione dei migranti, strategia della paura e repressione delle
lotte. E infine a Lecce, quando i Ministri dell'Economia si sono
incontrati per decidere di dare ancora altri soldi alle banche, e
spacciare i loro vecchi fallimenti per una nuova ricetta salvifica.
Ora è tempo di rimettere assieme ciò che è stato separato. È tempo di
incontrarsi, di esserci tutti. Di non lasciare che l'ultima parola
l'abbia chi specula su una tragedia come il terremoto, trasformando le
persone in voti, facendo sporchi affari proprio mentre dilaziona la
ricostruzione fino al 2033. È su una popolazione distrutta e
abbandonata che i “grandi” verranno a fare la loro passerella. Davanti
alle telecamere, a dirci che tutto va bene. Noi però sappiamo che non è
così. E lo dobbiamo gridare forte.
Hanno detto che non avremo il cuore di esserci. Ma noi, per stare dalla
parte di chi lotta e soffre, il cuore lo abbiamo sempre. In quei giorni
saremo ad agitare le strade. Ed il 10 verremo al corteo nazionale, per
portare le nostre ragioni, quelle degli oppressi e delle popolazioni in
lotta. Per dimostrare che non ci hanno piegati, per rovinargli la
passerella.
Siamo cresciuti, ma il futuro è ancora roba nostra. Ci vediamo a l'Aquila.
Collettivo
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