Mohammad e Mahmoud erano seduti presso una distesa incolta ai margini del campo per i rifugiati di Nahr al-Bared, nel nord de Libano. Mentre Mahmoud canticchiava la canzone riprodotta dal suo cellulare Mohammad usava il suo per giocare ai videogiochi. Mohammad alza lo sguardo e dice: “Passiamo i giorni a far niente. Alla mattina andiamo al bar per qualche ora. Poi torniamo a casa e preghiamo. Usciamo di nuovo, ritorniamo al caffè e restiamo lì fino a sera. E così tutti gli altri giorni”.
I due giovani non sono i soli disoccupati del campo di Nahr al-Bared. Quello che era il più prospero dei campi per rifugiati del Libano, circa due anni fa è stato teatro di scontri fra l’esercito libanese e Fatah al-Islam, una piccola formazione islamica militante che si era infiltrata nel campo. Da allora la vita degli abitanti palestinesi fa fatica a riprendere. Secondo uno studio del 2007, condotto da un istituto norvegese (FAFO), prima della guerra il 63 % dei residenti lavorava all’interno del campo. Un’indagine [PDF] del 2008, a firma dell’UNRWA, ha stimato la percentuale di disoccupazione dei 10.000 returnees (cioè di una parte di coloro che sono stati costretti a lasciare la propria abitazione durante gli scontri e che poi vi hanno fatto ritorno, n.d.t.) al 40 %. Questa cifra è ricavata dalle affermazioni degli intervistati ma non tiene conto del numero dei residenti che hanno un lavoro part-time o temporaneo. Molti di loro lavorano solo alcuni giorni alla settimana e possono restare fuori dal mercato del lavoro per settimane.
Il campo è stato un importante centro di scambi fra la città nord-libanese di Tripoli, e (quelle sul) confine siriano. Nella ricerca condotta dall’UNRWA, tre quarti di coloro che svolgevano attività imprenditoriali prima degli scontri sostengono che i lorolocali aziendali sono stati totalmente distrutti. In aggiunta, da un’indagine della SME Working Group, è stato rilevato che 1512 micro, piccole e medie imprese all’interno del campo sono state danneggiate o distrutte a seguito del conflitto. Durante e dopo gli scontri, quando il campo era sotto l’esclusivo controllo dell’esercito libanese, macchinari, strumenti e interi stock di beni furono saccheggiati e le attività commerciali furono bruciate o gravemente danneggiate. Dall’ottobre del 2007 l’economia di Nahr al-Bared è stata distrutta.
Il padre di Mohammad, Ziyad, è anche lui disoccupato. Ha trascorso gran parte della sua vita lavorando nella costruzione oleodotti nel Caucaso e nel Golfo Persico. La scorsa estate ha lavorato per un breve periodo con una compagnia libanese nel vicino distretto di al-Koura. “Quando il lavoro diminuiva ero il primo a dover andare via, perché sono palestinese, non avevo alcun contratto quindi potevano mandarmi a casa senza problemi” ha spiegato. Da allora ha cercato di guadagnare qualcosa con la pesca o la vendita di caffè, limonate o tè nel suo minuscolo caffè vicino alle abitazioni temporanee, note con il nome di baracche di ferro.
Ziyad ha molto tempo per pescare. Ogni mattina tra le 5 e le 7 del mattino si dirige verso la spiaggia per sfidare la sorte per un paio d’ore.”Dipende dal vento” dice. “L’altro ieri ho preso molti pesci e ne ho venduto per 14,000 LBP( 9 $). Ieri invece sono tornato a mani vuote”. Se il vento è favorevole ritorna al mare anche nel tardo pomeriggio. Il campo di Nahr al-Bared è situato lungo la costa libanese. Per la parziale pulizia del campo i furgoni della spazzatura hanno creato una striscia di 10 metri di detriti lungo la costa. Ziyad ha gettato l'amo da pesca nell’acqua. Sotto i suoi piedi c’erano i resti del campo precedente - giocattoli rotti, scarpe, elettrodomestici e ciottoli di pietre e mattoni.
La famiglia di Ziyad vive in una delle baracche di ferro. Generalmente mangiano pesce perché raramente riescono a comperare la carne. A metà maggio Ziyad ha deciso di riaprire il caffè. Indicando una cassetta vuota di limonate ha detto “ io vendo ciascuna bottiglia a 250 LBP(0,16 $). Se riesco a venderle tutte arrivo a 1000 LBP (0.66 $). A fine giornata il profitto non è che di qualche dollaro. Mohammad, un giovane macellaio, è quasi nella stessa condizione. Forse sta un po’ meglio. Ha investito 5000 $ in un’attività e adesso è sommerso dai debiti. Vende sandwiches, carne, snack e pietanze tipiche. Un cliente compra un panino e gli dà 1000 LBP. Mohammad si gira e dice “ A Tripoli lo stesso panino vale 3000 LBP. Non guadagno niente sul prezzo di 1000 LBP. E questo ragazzo riprenderà i suoi 1000 LBP quando andrò fra qualche giorno a comprare la verdura al suo negozio”. Vicino alla via principale del campo, Salim ha aggiustato la suola di una scarpa per un cliente e ha ricevuto 1000 LBP in cambio. “La situazione economica è questa: se scrivi il tuo nome su una banconota da 1000 LBP, farà il giro del campo e ritornerà nelle tue mani alla fine della settimana” ha detto Salim.
L’economia a circuito chiuso è dovuta all’occupazione dell’esercito libanese. Nell’indagine UNRWA del 2008 i commercianti del campo sostenevano che metà dei loro clienti erano libanesi. Il presidente dell’unione commercianti del campo lamentava il fatto che “Il campo è una zona militare chiusa. I vicini libanesi non hanno il permesso di entrare. Come può sperare di rinascere l’economia del campo?’” I produttori di caffè el-Saadi e altre compagnie hanno aperto piccole filiali oltre i checkpoint militari nella zona di Adbi o lungo l’autostrada. Un impiegato dell’UNRWA che preferisce rimanere anonimo sostiene “Aiutare i proprietari ad aprire attività fuori dal campo è molto problematico e sgradito. D’altra parte, però, all'interno del campo non hanno praticamente nessuna altra chance di sopravvivenza.”
Una delle attività senza speranza del campo appartiene ad Ahmad, un giovane che vive nelle baracche di ferro. Dopo aver lavorato a cottimo per mesi ha aperto un piccolo internet café nel mese di maggio. Dopo pochi giorni ha chiuso i battenti perché non aveva praticamente clienti e quasi nessun incasso. Ha venduto i computer e ha comprato invece una tavolo da biliardo e una centriifuga per preparare succhi freschi. Anche così, però, passa la maggior parte delle giornate seduto su una sedia di plastica davanti al suo locale.
Mahmoud, il figlio di Ziyad ha avuto una sorte simile. L'autunno scorso aveva aperto un internet café sotto una tettoia accanto alle baracche. Da allora, ha venduto i computer e ha chiuso l'internet café “Non guadagnavo più di qualche dollaro anche se i computer erano sempre in uso. Alla lunga ho capito che non ne valeva la pena.” Adesso lavora di nuovo a Beirut. Ogni mattina Mahmoud parte dal campo intorno alle 5-6 del mattino per tornare la sera, tra le 7 e le 9. Normalmente vede i suoi due figli quando sono già a letto e metà del suo guadagno quotidiano è speso in trasporti e alimenti.
Sembra ci siano troppi caffè, sandwich shops, negozi di abbigliamento e altre piccole botteghe di vendita al minuto a Nahr al-Bared. Fanno a gara per conquistare i clienti e i pochi guadagni che portano con sé ma spesso la fatica non è ricompensata. Di conseguenza spesso queste attività non hanno vita lunga: il potere d’acquisto è ridotto e, a causa dell'assedio, gli incentivi all’investimento sono scarsi. Abu Ali dice che un altro fattore è che “il successo di Nahr al-Bared era dovuto in parte ad un economia di credito. I clienti libanesi compravano i prodotti a rate. Ancora oggi molti libanesi della regione di Akkar non hanno finito di pagare i debiti contratti con i proprietari delle attività. Inoltre, durante la guerra, non solo è andato perduto gran parte del capitale ma anche i registri dei debiti.
La crisi economica che ha investito Nahr al-Bared ha portato il proprietario di una serie di negozi di abbigliamento ad interrogarsi sulle ragioni della distruzione del campo. Abu Ali ha tracciato un paragone con gli scontri tra gli Alawiti di Jabal Mohsen e i sunniti di Bab al-Tabbaneh a Tripoli, nell’autunno scorso. “ I soldati e i blindati dell’esercito presidiavano il campo ma non lo isolavano. Perciò potrebbero lasciare aperto anche Nahr al-Bared! Vogliamo che le autorità libanesi interrompano immediatamente l’assedio.”
Nelle baracche di ferro, intanto, Ziyad ha ripreso a vendere nel suo caffè succhi freschi di arance e carote. Un bicchiere grande costa solo 500 LBP (0.33 $). A Tripoli costerebbe almeno il doppio. Ziyad fa spallucce e con un sorriso amaro ci dice “Non è molto ma è meglio di niente.”
Tradotto da Annamaria e Carmen (Associazione Zaatar)
http://electronicintifada.net/v2/article10593.shtml
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