Piove a dirotto in questa fine d’ottobre crepuscolare, mentre torrenti di catrame scorrono violenti fuori dalla stazione, sotto luridi marciapiedi spezzati. Mi ritrovo a schivare barboni zoppi, junkie con arti amputati e lattine di birra sgasata inforcate sulle stampelle, e cerco disperatamente di salire sull’ultima corsa del tram prima dell’inizio dell’ennesimo sciopero generale. Mi riparo alla meno peggio con un Mein Kampf di terza mano. I camerati dei Freikorps sono già su, tengono le porte spalancate e mi trascinano a forza.
Dentro è una bolgia, fa un caldo soffocante, i canti sono inebrianti. Nella confusione generale, uno dei fascisti più infervorati si avvicina e riesce in qualche modo a sfilarmi il portafogli. Me ne accorgo subito e indico il ladro. Altri Arditi della Patria, deturpati dai liquori da discount, s’interpongono e inscenano una clamorosa dimostrazione.
«A chi l’Italia?», domandano fino a raschiarsi la gola.
«A noi!», gridano in coro gli altri, paonazzi e compatti come un campo di spighe di grano.
Inutilmente tento di convicerli che, nel mio caso contingente, l’Italia non c’entra un cazzo: rivoglio indietro il mio portafogli. Vengo ignorato. C’è anche una guardia, a cui mi rivolgo idrofobo. L’agente mi risponde con un’esclamazione: «Incidenti della politica, figliolo». Prendo a vagare per la vettura, allucinato, stringendo la copia fradicia del Mein Kampf come ultimo appiglio in un mondo alla deriva, quando all’improvviso una mano enorme mi stritola la spalla destra. Bestemmio fragorosamente. Parte un motivetto.
«E adesso per gli islamici / adesso arriva il bello / Rosario e manganello! / Rosario e manganello!»
Mi giro, ma so già di chi si tratta. È la persona che cercavo. Sorrido. È il «gesuita itinerante» Don Giulio Tam, torreggiante, splendidamente calato nella sua tonaca – o meglio: nella sua «camicia nera taglia XXL», come preferisce chiamarla lui. In mano stringe il rosario, «strumento umile ma forte» nonché, quando serve, una comoda «mitragliatrice con 50 colpi» che ci ha regalato la Vergine Maria.
Cresciuto in una famiglia democristiana, Don Tam – come scrive Gian Antonio Stella in un profilo del 2004 – diventa fascista a 15 anni, probabilmente seguendo l’esempio della zia Angela Maria, «terziaria domenicana» che aveva «dedicato la vita a Dio e al Duce» e faceva l’ausiliaria nella Repubblica di Salò. Venne fucilata dai partigiani alla fine della guerra. La stessa fine la fece il resto del pantheon clerico-fascista di Padre Giulio: preti «neri» come don Gino Artini, don Angelo Baroni, fra Galdino, don Alberico Manetti, don Antonio Bruzzesi, fra Ginepro da Pompeiana, don Ettore Civati1 e, su tutti, don Tullio Calcagno2.
In gioventù Giulio Tam è attivista di Alleanza Cattolica, e considera «la Chiesa conciliare come una banda di mollaccioni senza spina dorsale». Studia nel seminario di Ecône fondato dal vescovo ultra-ultra-tradizionalista Marcel Lefebvre, e prende i voti scismatici nel 1980. Gira mezzo mondo: due anni in Svizzera, due in Messico, due in Spagna, due in Francia. Nel 2000, quando c’è il primo tentativo di riavvicinamento tra i lefebvriani e la Chiesa, Don Tam si oppone a tal punto da essere cacciato dalla Fraternità: «era troppo estremista anche per loro», spiega Stella.
Il tram si ferma davanti all’ospedale. Padre Tam esce un attimo, brandisce il rosario-mitra e spara qualche cartuccia in aria. «Stanno uccidendo, liberali e comunisti insieme, la famiglia – declama il prete alla platea - Hanno votato il divorzio, ve lo ricordate? Hanno votato l’aborto, ve lo ricordate? Dagli ospedali italiani adesso esce un torrente di sangue dei bambini assassinati con la legge dell’aborto, firmata da Andreotti». Le porte si richiudono e proseguiamo il viaggio.
Nel 2004 Don Tam è candidato alle europee con Alternativa Sociale, partito di Alessandra Mussolini. Nel 2009, invece, Forza Nuova – per cui il prete ha tenuto corsi di formazione politica – lo propone addirittura come candidato sindaco di Bologna. Invitato dagli attivisti del TPO ad esprimersi sulla candidatura di Padre Tam e a dissociarsi da quest’ultimo, il cardinale Caffarra si esprime così: «Per applicare una pena il reo deve essere capace di intendere e di volere. E quella persona non lo è, altrimenti non direbbe ciò che dice». La replica di Tam arriva a stretto giro di posta: «Mi meraviglio che il cardinale Caffarra usi questi termini, mi meraviglio che possa dire che una persona laureata all’università Cattolica di Milano in filosofia, studioso di teologia e ordinato sacerdote nell’80 possa essere una persona incapace di intendere e di volere».
Rapporto complicato, quello tra il nostro Don (che in realtà non è un «Don») e la Chiesa. Sospeso a divinis e scomunicato, Tam si definisce «un disobeddiente», ma celebra messa ugualmente (spesso e volentieri a Predappio, sulla tomba del Duce, come successo qualche giorno fa) dato che «il problema disciplinare non tocca il valore del sacerdozio». I mali che ammorbano la Chiesa moderna, secondo il prete, sono molteplici: la rivoluzione francese, il relativismo, il Concilio Vaticano II. «Mai prima di allora i pontefici sono andati nelle sinagoghe – ha dichiarato ieri a Giornalettismo – Loro usano altri valori, la fraternità universale, che però è massonica. Non accettiamo quello che ha fatto il Vaticano II». E Ratzinger? «L’attuale Papa sembra un conservatore ma in realtà è un progressista. Io sono l’avversario numero uno di papa Ratzinger. È un falso conservatore e un vero progressista». E come si concilia il cattolicesimo con il fascismo? Benissimo, in verità: «Il liberalismo non è compatibile con la Chiesa, nemmeno col marxismo. Il fascismo sì, ha fatto il concordato con la Chiesa. Dio patria famiglia sono valori fascisti, è una soluzione che ha avuto successo».
Video: http://www.youtube.com/watch?v=WjF_rJLHE9g&feature=player_embedded
Nel 2009, delle foto apparse su Repubblica.it lo ritraggono in testa ad un corteo neofascista organizzato a Bergamo da Forza Nuova, con il braccio destro spianato verso il cielo. «Starò sempre a fianco dei giovani di Forza Nuova – si legge in un articolo di Repubblica – Mussolini è un martire e io sono favorevole alla sua beatificazione». Nel 2008, in un comizio di Forza Nuova a Chieti, Don Tam propone anche una pratica Endlösung per risolvere il problema dell’adozione di bambini alle coppie omossessuali: «Gesù Cristo dice: “Chi scandalizza uno di questi piccoli, mettetegli una pietra al collo e buttatelo nel mare”. Gesù Cristo lo diceva, leggete il Vangelo! San Matteo, capitolo diciotto!»
All’interno del tram ci stiamo caricando a dovere per la nostra crociata, perché – come ci ricorda il Don – «per noi le Crociate sono Sante, Sante perché giuste, giuste e doverose. Alle Crociate noi crediamo, perché crediamo in Dio Gesù: per Lui vogliamo combattere. A Lepanto i Cristiani combatterono col Rosario in mano, e vinsero». E anche noi vinceremo, sì. Vinceremo per Cristo, col Cristo e nel Cristo, nostro Signore onnipotente e fonte di ogni salvezza.
Dobbiamo agire perché il pericolo è alle porte, l’invasione è ora, «l’esplosione biologica» dei musulmani è un fatto tristemente conclamato. «Alle porte della nostra società, o meglio, della nostra civiltà, sta spingendo l’invasione religiosa-islamica – comizia Don Tam – Questi mussulmani sono uomini integrali e coerenti, e sono tanti: 1,3 miliardi di persone, 1/6 dell’umanità. In passato gli islamici erano stati sinonimo di massacro e di violenza…Ora cosa vogliamo fare con loro? Vogliamo regalargli delle margherite?» La soluzione è semplice, diretta, quadrata: legittima offesa. Don Tam parla piano e porta in mano un enorme randello: «Finalmente l’invasione islamica! Loro non sono come noi. Noi trasferiamo agli islamici la nostra carità cristiana. L’islamico bacia la mano solo perché non la può tagliare, ma preferisce tagliarla. [...] Per noi sarà la resurrezione perché ci obbligheranno ad essere o schiavi o militanti, ci obbligheranno ad essere quello che eravamo.».
E torneremo ad esserlo, già, con i nostri fez e le nostre marce e le nostri armi chimiche e il nostro spirito guerriero e i nostri delitti politici. Don Tam ci sta indicando la via:
Ci stiamo preparando alla guerra civile. Ve lo dice il vostro cappellano: abbiamo bisogno di combattere per resuscitare. Il benessere fa male perché ci dà tante comodità, ma ce le fa pagare care. Quanti milioni di consumatori di anti-depressivi ci sono oggi, mentre i nostri vecchi cantavano e bevevano vino. Oggi non si canta più, perché si sta tutti davanti alla TV. Abbiamo bisogno di liberarci di questo falso benessere e di questo fango. Questa è la nostra battaglia.
A noi, Padre. A noi.
Siamo arrivati, finalmente. La moschea semi-clandestina è nel seminterrato, sopra un negozio di alimentari gestito da pakistani o bengalesi – tanto è lo stesso. La squadraccia si travisa i volti, impugna i bastoni avvolti con Tricolore & Aquila e invade la strada a cazzo dritto. Mi sistemo la cintura esplosiva – una miscela di dinamite e gelignite, come richiede la nobile tradizione neofascista – sotto il giubbotto ed esco dal tram.
Don Giulio mi guarda, mi accarezza, mi stringe il volto tra le sue mani e sussurra in un orecchio: «Gli islamici ci danno un esempio grande, loro si fanno saltare in aria per la fede. Tutti i nostri camerati ci stanno guardando dal cielo. È arrivata l’immigrazione, adesso tocca a voi difendere il Paese. Dobbiamo attirare le forze divine per fare le prossime battaglie: è un dovere di ogni italiano difendere la propria patria». Fa scendere su di me la benedizione dell’Altissimo. Sono pronto.
É un Götterdämmerung: l’aria ha il sapore di Weimar, il cielo è un blocco nero minaccioso, la Storia – ne sono certo – ci sta dando ragione. Le gocce si mescolano alle mie lacrime, e io piango di gioia mentre sto entrando nell’alimentare degli islamici, piango perché sto per arrivare da Te, Signore dei Cieli. Stringo il mano il dispositivo, scrocchio il pollice, lo adagio sul bottone e l’ultima cosa che posso sentire è un canto lontano, soffuso, dolcissimo.
«Col pugnale e con la bomba / nella vita del terrore / quando l’ obice rimbomba / non mi trema in petto il cuore…»
Scrive Stella: «centurione della Milizia, volontario in Albania, podestà in Valtellina e fascista così fascista da finire spretato e diventare funzionario del Minculpop». [↩]
Stella, ancora: «Prete scismatico che teorizzò una sua idea di cattolicesimo fascista, diede vita alla rivista Crociata italica, finì sospeso a divinis e scomunicato ed arrivò a un punto tale di rottura con la Chiesa che, davanti al plotone di esecuzione, rifiutò perfino il conforto di un sacerdote». [↩]